Terapia della malattia emorroidaria
Terapia medica
La terapia della malattia emorroidaria è per lo più medica, nelle mani di un Gastroenterologo Proctologo. Solo in casi selezionati va affidata al Chirurgo Proctologo.
In genere la così detta “crisi emorroidaria” tende a risolversi spontaneamente dopo qualche giorno, e, prima di rivolgersi allo Specialista Gastroenterologo, può essere utile provare a seguire alcuni consigli per accelerarne la guarigione e prevenirne nuovi episodi.
Ecco alcuni consigli da seguire:
consumare abbondanti quantità di fibra, meglio se medicata e a fibre morbide, allo scopo di rendere soffici le feci (verdura, frutta, cereali integrali), bere abbondantemente per ammorbidire le feci, non rinviare l’evacuazione in caso di bisogno, ridurre il peso corporeo se necessario, praticare regolare attività fisica.
Inoltre: evitare sforzi durante l’evacuazione, evitare l’uso della carta igienica e preferire salviette umide medicate, generalmente più delicate sulla mucosa.
Farmaci e rimedi
Esistono diversi farmaci per la cura delle emorroidi, tuttavia possiamo dividerli in due grandi gruppi: quelli ad uso topico o locale e farmaci ad uso sistemico.
Tra i farmaci ad uso locale abbiamo tre forme farmaceutiche: gli unguenti, le schiume e le supposte. Questi tipi di farmaci sono sintomatici; hanno cioè l’obiettivo di diminuire il bruciore, il prurito, il dolore e il sanguinamento.
Per la maggior parte sono associazioni di cortisone e un anestetico locale. Alcune formulazioni prevedono l’aggiunta di ulteriori sostanze ad azione vasculo-trofica, disinfettante o lubrificante.
Sono farmaci di libera vendita e possono essere usati con relativa tranquillità, per periodi di tempo limitati ad alcuni giorni, mentre, in generale, se ne sconsiglia l’uso durante la gravidanza, se non espressamente avallato dal Medico. Il principale effetto collaterale, peraltro non particolarmente frequente, è una reazione allergica all’anestetico locale, che può manifestarsi dopo alcuni giorni di trattamento continuo. Tutte gli unguenti contengono nella scatola anche un beccuccio morbido, utile per l’applicazione interna del prodotto.
La principale controindicazione, relativa ai prodotti contenenti cortisone, è la presenza di emorroidi sanguinanti; in questo caso il cortisone può essere causa di ritardo nella cicatrizzazione e si preferisce quindi l’uso di prodotti che non lo contengano, ma hanno la presenza di capillaroprotettori, venotropi e anestetico.
È importante segnalare anche prodotti, in crema o unguento, contenenti calcio-antagonisti o nitrati, in grado di rilassare la muscolatura locale. Ciò è importante perché agiscono sulla fisiopatologia della malattia emorroidaria, in cui lo spasmo sfinteriale è uno dei principali fattori.
Spesso è necessario associare una terapia sistemica, per bocca o per via iniettiva, di prodotti venotropi, che agiscono cioè favorendo il ritorno venoso del sangue, che gonfia il plesso emorroidario. Questi farmaci hanno anche un’azione capillaro-protettrice, utile particolarmente in caso di sanguinamento.
Dunque, i primi accorgimenti sono di tipo dietetico e comportamentale, con associazione di lassativi delicati, di farmaci venotropi, di antiinfiammatori, antidolorifici ed alcuni blandi fluidificanti del sangue. Spesso è necessario associare supposte o creme a base di cortisone, di sostanze anti-infiammatorie o di medicamenti spasmolitici.
I dilatatori criotermici sono un valido aiuto meccanico, che si affianca ed integra l’azione dei farmaci topici spasmolitici.
Dilatatori anali
Questi contengono un gel termo-accumulatore in grado di trattenere il freddo o il caldo e di apportare perciò i benefici della termoterapia o della crioterapia in diverse condizioni patologiche anali. Spesso, comunque, l’azione termica non è necessaria, in quanto supplita da creme, che riescono a rilasciare la muscolatura sfinteriale, favorendo il flusso venoso circolatorio.
I dilatatori sono indicati, inoltre, in caso di stenosi (restringimento) dell’orifizio, di origine cicatiziale o idiopatica, in caso di ipertono o spasmo sfinterico, sostenuto da patologia emorroidaria, in caso di proctalgia essenziale, di ragade, con eventuale stipsi secondaria, e per la prevenzione della stenosi postoperatoria, dopo intervento per emorroidi e fistole.
La modalità d’uso prevede l’eventuale raffreddamento in frigorifero del dilatatore o l’immersione per 10/15 minuti in acqua e ghiaccio. Nella termoterapia il dilatatore va scaldato in acqua calda (non superiore a 50°C) per circa 10/15 minuti. Esso deve essere comunque spalmato con crema o unguenti medicati e inserito nell’orifizio anale lentamente, fino alla sua base, stando in posizione seduta sul bidé o in decubito laterale, indifferentemente prima o dopo la defecazione. In caso di marcato spasmo sfinteriale é consigliabile far precedere la dilatazione da un semicupio o bidé tiepido, che ha effetto rilassante sulla muscolatura degli sfinteri anali. È anche indicato, in alcuni casi, precedere questo tipo di trattamento con l’assunzione di un antidolorifico. Il dilatatore va tenuto in sede per circa dieci-quindici minuti e quindi estratto lentamente. Si consiglia di non alzarsi e di non camminate con il dilatatore inserito.
La patologia emorroidaria può essere trattata con questi metodi conservativi.
La scelta del trattamento chirurgico va riservata a pazienti che non abbiano tratto alcun beneficio dalla terapia medica, igienico-dietetica e conservativa ambulatoriale. Bisogna inoltre avere la certezza che la patologia emorroidaria sia l’unica causa della sintomatologia e della clinica.
Gli esami complementari, colonscopia e TC Colografia, devono sempre essere richiesti prima dell’intervento, quando non si ha certezza della responsabilità esclusiva delle emorroidi del sanguinamento. Ancora oggi vengono misconosciute neoplasie del sigma in pazienti operati per “emorroidi sanguinanti”. Bisogna valutare anche la disponibilità psicologica del Paziente e la reale necessità di un intervento che, per quanto di semplice esecuzione, presenta, come tutti gli interventi chirurgici, possibili complicanze e conseguenze.
In particolare, l’intervento chirurgico è indicato in pazienti con:
- emorroidi interne di III° e IV° grado sintomatiche, con prolasso voluminoso permanente o difficilmente riducibile;
- sanguinamento emorroidario cronico e con anemizzazione secondaria, insensibile ai trattamenti strumentali ambulatoriali (legatura);
- insuccessi di precedenti trattamenti conservativi;
- controindicazioni all’esecuzione di trattamenti conservativi: trombosi, papilliti, criptiti;
- trombosi emorroidaria circolare irriducibile e trombosi del prolasso.
Esistono alcuni casi particolari che sono i seguenti:
- nel Paziente anziano, l’emorroidectomia è sempre da considerare come ultima alternativa. Meglio intervenire con trattamenti conservativi ed eventualmente eseguire delle emorroidectomie parziali, evitando sempre la sfinterotomia: il rischio di creare o aggravare una incontinenza è sempre presente. Nella donna anziana questo rischio è maggiore: spesso la patologia emorroidaria è associata a perineo discendente e maschera un’incontinenza idiopatica: è indispensabile perciò eseguire, prima di un eventuale intervento chirurgico, gli accertamenti funzionali per la diagnosi di perineo discendente, cioè la colpo-cisto-defecografia e/o la defeco-RM e la manometria anorettale.
- Nel bambino la patologia emorroidaria è molto rara e va sempre trattata con terapia medica e igienico-dietetica: non bisogna mai intervenire chirurgicamente.
- Nel Paziente cirrotico bisogna accertarsi con la colonscopia che il sanguinamento origini dalle emorroidi e non da varici anali e/o rettali. In questi pazienti l’alterazione della capacità di coagulazione è spesso presente e questo impone molta prudenza nel porre l’indicazione chirurgica. Quando è inevitabile, bisogna procedere con il trattamento di un pacchetto emorroidario per volta, facendo precedere l’intervento da un trattamento medico atto a ridurre l’ipertensione portale (beta-bloccanti). Nel sanguinamento acuto è indicato l’uso di vasopressina o somatostatina.
- Nella donna in gravidanza o dopo il parto, i disturbi anorettali sono presenti nell’85% dei casi. I disturbi emorroidari si presentano inoltre nelle primipare con frequenza doppia rispetto alle nullipare e l’intensità dei sintomi aumenta con il numero dei parti. Sembra esserci un ruolo del progesterone, aumentato durante la gravidanza, nella seconda metà del ciclo mestruale, o con gli anticoncezionali, che sarebbe responsabile della stasi venosa nel piccolo bacino e nelle vene rettali. Per cause ormonali, nel puerperio si creano modificazioni circolatorie locali che conducono a formazione di trombi nel plesso emorroidario. La presenza di emorroidi in gravidanza non è comunque accompagnata sempre da sintomi importanti e perciò la scelta di un intervento atto a risolvere il problema emorroidario va fatta solo in alcuni casi. Il trattamento sclerosante non presenta controindicazioni in gravidanza. Quando i sintomi sono severi, è possibile eseguire un trattamento chirurgico, preferendo intervenire tra la quattordicesima e la trentaduesima settimana e ponendo la Paziente in decubito laterale. Se è possibile, invece, l’intervento va posticipato e, in questo caso andrebbe eseguito 2 o 3 mesi dopo il parto. Altri autori riferiscono invece una guarigione più rapida in Pazienti sottoposte ad intervento chirurgico nell’immediato post-partum.
- In corso di malattie infiammatorie intestinali (IBD), la patologia emorroidaria non è molto frequente. Un intervento di emorroidectomia eseguito in questi pazienti presenta un rischio di complicanze maggiore, fino al 10% dei casi in Pazienti con rettocolite ulcerosa e fino al 40% nei Pazienti con morbo di Crohn. In questi ultimi il rischio maggiore è quello della formazione di fistole anali.
Terapia chirurgica.
Se i gavoccioli venosi non rientrano nell’ano, creando un fastidio continuo ed un sanguinamento costante, è indispensabile un intervento chirurgico.
La tecnica chirurgica classica è quella chiamata di Miligan-Morgan.
Nel 1937, i due chirurghi Inglesi Milligan e Morgan descrissero una tecnica di legatura bassa del gavocciolo emorroidario.
L’intervento di Milligan-Morgan è ancora oggi il più utilizzato al mondo per la cura radicale delle emorroidi e comporta l’asportazione dei tre pacchetti emorroidari interni, che si trovano a ore 5, 7, 11 se visti in posizione ginecologica e della componente emorroidaria esterna. Il primo tempo dell’intervento è rappresentato dalla corretta esposizione dei tre gavoccioli emorroidari, che devono essere trazionati verso l’esterno. Si pone così in evidenza il peduncolo di ciascun nodulo.
L’anestesia può essere generale, spinale o locale. L’intervento dura circa trenta minuti e consiste in una incisione a “V” a partire dalla cute perianale e procede con la dissezione della mucosa e del plesso vascolare, fino alla base del peduncolo vascolare artero-venoso. Quindi si lega, si asporta e si sutura. Tra le tre colonne emorroidarie escisse rimangono ponti muco-cutanei, da cui si avvia la rigenerazione epiteliale, con completamento della guarigione delle ferite entro 4 – 6 settimane circa. Tali ponti sono fondamentali per scongiurare il rischio di stenosi anale post-operatoria. La stenosi, se diagnosticata precocemente, può essere facilmente risolta.
Emorroidectomia secondo Milligan Morgan
Per rendere meno doloroso il decorso post-operatorio occorre minimizzare i traumatismi a carico della componente esterna, rivestita da cute e provvista di innervazione sensitiva somatica, abolire i tamponi rettali usati a scopo emostatico, sostituiti da moderne reti o spugne, che si gelificano in pochi minuti. Le attuali tecniche anestesiologiche (posizionamento di elastomero con somministrazione lenta e graduale di farmaci antidolorifici endovenosi per 24-48 ore, infiltrazione con anestetici locali a fine intervento) contribuiscono a rendere l’intervento meno doloroso. Anche la corretta gestione post-operatoria del Paziente è fondamentale, con apporto idrico adeguato ma non eccessivo, in modo da minimizzare il rischio di ritenzione urinaria, e lo stimolo alla evacuazione post-operatoria precoce, indotto da blandi lassativi osmotici e/o fibra. Un fattore decisivo per ridurre il dolore post-operatorio dopo intervento di Milligan-Morgan è l’utilizzo del dispositivo “LigaSure”.
Il LigaSure è un elettrobisturi a radiofrequenza, che consente di tagliare e coagulare i tessuti in modo poco traumatico, mediante l’emissione di onde ad alta frequenza, che vengono applicate sulle strutture anatomiche mediante un elettrodo chirurgico. Si tratta di un innovativo dispositivo emostatico elettrochirurgico bipolare che, attraverso una pinza applicata al tessuto sotto pressione, eroga una corrente pulsante di alta intensità e di basso voltaggio. Si ha, in questo modo, minor dolore post operatorio e più rapida ripresa funzionale. In particolare, i vantaggi, con l’utilizzo di questo strumento, sono legati alla riduzione del dolore post-operatorio, alla più rapida guarigione delle ferite e alla riduzione del sanguinamento. Studi istologici hanno dimostrato che il collagene e l’elastina nelle pareti dei vasi vengono liquefatti e resi plastici dalla radiofrequenza, con fusione degli strati intimali, così che la coagulazione diviene parte integrante della parete vasale e non può staccarsi: la coagulazione prodotta dalla radiofrequenza può essere considerata una “clip biologica”, di resistenza paragonabile alle clips emostatiche e alle legature convenzionali.
Ligasure
L’intervento di Milligan-Morgan è il capostipite degli interventi di emorroidectomia con tecnica “aperta” (in quanto le ferite vengono, appunto, lasciate “aperte” e guariscono per seconda intenzione). Invece, capostipite delle tecniche cosidette “chiuse” è l’emorroidectomia secondo Ferguson, così chiamata in onore del suo ideatore, il Dr. Ferguson, che la ideò nel 1952 ed è attualmente particolarmente eseguita in Nord-America. Questa tecnica è, in parte, una modifica della Milligan-Morgan: la differenza principale consiste nel fatto che, nella tecnica di Ferguson, le ferite vengono chiuse (in modo completo o parziale). Uno degli aspetti negativi è che, tendendo le ferite suturate, esse tendono spesso ad aprirsi e i tempi di guarigione, in questi casi, si allungano notevolmente.
Emorroidectomia sec. Arnous
La emorroidectomia sec. Arnous è una variante della Milligan Morgan precedentemente esposta, messa a punto dalla scuola francese.
Essa comprende una sfinterotomia parziale posteriore con ano plastica in associazione all’emorroidectomia peduncolare con legatura alta. Il suo principio fisiopatologico consiste nella correzione dell’ipertono sfinterico ed eventuale asportazione di ragade, elementi che spesso si associano alla malattia emorroidaria, e nel ridurre l’apporto arterioso ai gavoccioli mediante legatura alta, allo scopo di ridurre le recidive. Per la sfinterotomia posteriore, si posizionano due pinze di Allis sulla linea muco-cutanea in sede posteriore per facilitare la dissezione di un rettangolo muco-cutaneo di 1-2 cm , comprendente la commissura posteriore. La dissezione della cute e del sottocute espone le fibre circolari dello sfintere interno che viene sezionato. Si scolla infine un lembo della mucosa anale che viene abbassato e suturato alla rima di sezione dello sfintere (ano plastica). I tempi successivi non sono diversi dalla emorroidectomia sec. Milligan & Morgan.
Emorroidectomia secondo Ferguson
La tecnica, come ho detto, prevede un’emorroidectomia completa con legatura alta del peduncolo, come per la Milligan e Morgan, ma con la ferita endo- e perianale che viene chiusa con una sutura continua in materiale riassorbibile.
Emorroidectomia secondo Parks
È una emorroidectomia sottomucosa, cioè con dissezione del tessuto emorroidario per via sottomucosa, senza trazione dei peduncoli, con ricostruzione delle zone sensibili del canale anale, ossia di tutto il rivestimento muco-cutaneo con legatura alta, con l’escissione che ha una forma a racchetta invertita. I lembi muco-cutanei ricadono sulla ferita, ricoprendola, e vengono poi fissati allo sfintere interno.
Emorroidectomia con suturatrice circolare (secondo Longo).
Le basi razionali preposte a questa tecnica, ideata dal Chirurgo italiano negli anni 90, consistono nella constatazione che la malattia emorroidaria sarebbe dovuta al dislocamento in basso rispetto alla linea pettinea dei plessi emorroidari interni, che hanno perso le connessioni con il muscolo sfintere liscio. Questa discesa è causa dei disturbi vascolari, che sono alla base dell’edema, della congestione e del sanguinamento. La tecnica prevede di trattare il prolasso mucoso, ripristinando i normali rapporti tra sfinteri e plessi emorroidari.
Si confeziona una borsa di tabacco a 4 cm dalla linea ano-cutanea, sulle pliche mucose, dopo divaricazione del canale anale. Questa può essere a tutta circonferenza, se il prolasso è circonferenziale, o parziale, se c’è un prolasso dei soli cuscinetti emorroidari. Se il prolasso emorroidario è a tutta circonferenza o supera i 3 cm si predispone una seconda borsa di tabacco 1,5 cm sotto la prima.
Si estrae il divaricatore e si introduce nel retto una suturatrice circolare di 33 mm assemblata e in posizione di massima apertura, fino ad oltre la linea pettinea. Si divarica il canale anale distale con quattro pinze divaricatori e si annoda la borsa di tabacco sul pistone dello stapler. Si avvita la suturatrice introducendo lo stapler housing fino a che il margine superiore di questo superi di almeno 2 cm la linea pettinata, simmetricamente per tutta la circonferenza anale. Si completa l’avvitamento e si pratica la sezione-sutura. Estratta la suturatrice, si osserverà una sutura muco-mucosa, circolare, a circa 2 cm al di sopra della linea pettinata. Il resecato chirurgico è circolare o interrotto in pliche separate, a seconda del tipo di borsa di tabacco confezionata.
Mucosectomia secondo Longo
Altra metodica ancora meno invasiva, attuabile in alcuni casi, è la THD (Transanal Haemorrhoidal Dearterialization), che prevede, con una speciale apparecchiatura ad onde sonore, di individuare con precisione i rami terminali delle arterie, che portano sangue ai cuscinetti emorroidari. Esse vengono legate al di sopra della linea dentata, in un’area priva di sensibilità al dolore. L’intervento può essere praticato con una sedazione farmacologica associata ad analgesia o un’anestesia spinale “a sella” ed è possibile eseguirlo in regime di “Day Hospital”.
Transanal Haemorrhoidal Dearterialization
La “Dearterializzazione Emorroidaria Doppler Guidata” consente di ridurre l’iperafflusso arterioso, tipico della malattia emorroidaria, legando (sotto la guida di un anoscopio operatore, munito di sonda Doppler) i 6 principali rami arteriosi presenti a livello anale (rami terminali dell’arteria emorroidaria superiore, presenti alle ore “dispari” dell’orologio, se visti in posizione ginecologica) e può correggere l’eventuale prolasso, riposizionando, mediante plicatura od “emorroidopessi”, la mucosa anorettale nella sua sede naturale. Il tutto viene eseguito mediante l’impiego di punti di sutura che vengono completamente riassorbiti in circa 70 giorni. L’intervento viene effettuato in una zona priva di terminazioni nervose e, in questo modo, si riduce notevolmente la sintomatologia dolorosa. Questa potrà, tuttavia, essere presente in caso di tecnica THD eseguita su Pazienti con prolasso mucoso importante ed emorroidopessi, di conseguenza, anche essa rilevante. La tecnica THD non è del tutto esente da complicanze. Tra le complicanze (eccezionali ma possibili) e/o eventi indesiderati, dopo intervento THD vanno citati: emorragia post-operatoria, dolore, tenesmo, infezione, trombosi, recidiva. Il raro dolore post-operatorio, il tenesmo e la trombosi sono, in ogni caso, tutte completamente reversibili nel giro di pochi giorni.
Complicanze della terapia chirurgica
Schematicamente possono essere divise in complicanze precoci e tardive.
Le complicanze precoci compaiono entro il primo mese e sono rappresentate dal sanguinamento, dalla ritenzione urinaria, dalla ritenzione fecale, dal dolore, dalle stenosi anali precoci e dalle infezioni.
Il sanguinamento è una complicanza frequente che può presentarsi precocemente entro i primi 2-3 giorni ed indica, in tal caso, l’allentamento del punto di legatura sul peduncolo vascolare. Esso in genere viene facilmente risolto con una tamponatura di qualche minuto. Nel caso questo non sia efficace, è richiesto il re-intervento immediato per l’entità dell’emorragia. Invece, il sanguinamento che si verifica dopo 10-12 giorni indica la caduta di un’escara e in questo caso è generalmente sufficiente posizionare un tampone endoanale. Solo raramente è necessario eseguire delle coagulazioni al bisturi elettrico o posizionare altri punti di sutura. Un’altra causa di sanguinamento può essere il passaggio di feci solide e voluminose che vanno a traumatizzare la ferita, creando lacerazioni mucose. La presenza della contrazione sfinteriale impedisce al sangue di fuoriuscire in tempo reale. Esso si accumula in ampolla rettale e, quando evoca lo stimolo all’evacuazione, viene espulso in abbondanti quantità.
Il dolore è un sintomo che accompagna sempre gli interventi chirurgici e soprattutto la regione anale. Il dolore può essere legato all’intervento vero e proprio, per la presenza dei punti di legatura del peduncolo vascolare, per la cicatrice, per il passaggio delle feci e per le trazioni muscolari, ma può essere legato a possibili complicanze, come la suppurazione, l’ascesso, il sovvertimento dell’architettura anale, per l’errata apposizione delle suture, le lacerazioni muco-cutanee dopo evacuazioni difficili.
La ritenzione urinaria è un sintomo che accompagna spesso la patologia proctologica, anche senza intervento chirurgico. È favorita dall’ipertrofia prostatica e dall’anestesia spinale. La ragade anale in fase acuta e lo spasmo sfinteriale possono causare la ritenzione urinaria e il dolore anale postoperatorio è responsabile di disuria nel 25% dei Pazienti operati, con ritenzione vera e propria e necessità di cateterismo uretro-vescicale nel 5% dei casi. L’innervazione motoria del canale anale, della vescica e degli organi genitali ha un plesso comune, l’ipogastrico, con possibili interazioni funzionali tra questi organi. Si tratta comunque di fenomeni transitori che si risolvono generalmente spontaneamente in pochi giorni.
La ritenzione fecale è molto comune. I Pazienti, dopo l’intervento di emorroidectomia, hanno spesso disturbi dell’evacuazione o una stipsi, anche grave. La situazione si aggrava per la presenza del dolore anale, per la paura di causare lesioni al passaggio fecale e per la modificazione delle abitudini di vita legate all’ospedalizzazione. La somministrazione di blandi lassativi dal giorno dell’intervento fino alla guarigione consente di evitare questo problema. Se il disturbo persiste parecchi giorni dopo la dimissione, possono formarsi veri e propri fecalomi, misconosciuti dal Paziente e spesso confusi con una forma diarroica dell’alvo, perchè le poche feci che passano sono quelle liquide, che transitano attorno ad una massa fecale solida, occupante l’intera ampolla. Questo spinge il Paziente ad assumere dosi inferiori di lassativo, aggravando la situazione. In questi casi, si devono effettuare numerosi enteroclismi evacuativi e lo svuotamento manuale.
Le complicanze infettive, con suppurazione, febbre e ascessualizzazioni, sono abbastanza rare e si presentano con maggiore frequenza nelle emorroidectomie chiuse, dove non esiste un drenaggio delle secrezioni.
Nell’immediato postoperatorio può comparire un’incontinenza transitoria a gas e feci liquide. La rimozione della mucosa anale sensibile, insieme al tessuto emorroidario, porta una transitoria incapacità a distinguere le feci dai gas e dai liquidi. Viene a mancare anche la perfetta chiusura dell’orifizio anale, che è garantita dalle emorroidi non patologiche.
Se l’incontinenza persiste per più tempo, essa è generalmente dovuta alla scorretta esecuzione dell’intervento, con un danno alla muscolatura sfinteriale anale.
La comparsa tardiva di dolore e di stasi fecale indicano un’esecuzione scorretta dell’intervento, con sovvertimento dell’architettura del canale anale. Le trazioni sulla mucosa, per le suture errate, sono causa di dolore e insensibilità, con le conseguenze descritte.
La stenosi tardiva è una complicanza che si presenta con una certa frequenza. Il rispetto della simmetria del canale anale e dei ponti cutaneo-mucosi è una garanzia di elasticità del canale anale. In alcuni casi, le lesioni di queste strutture creano, nel postoperatorio, cicatrici anomale con restringimenti cutanei. La prevenzione consiste nell’utilizzo di dilatatori anali durante le fasi della guarigione. Le visite di controllo frequenti, dopo l’intervento, servono a prevenire questa fastidiosa complicanza, la cui soluzione consiste in un’anoplastica cutanea.
Un caso particolare è rappresentato dal cheloide. Il Paziente va indagato sul decorso di precedenti cicatrici. Un cheloide in questa zona ha conseguenze gravi. Se ne è prevista la comparsa, bisogna intervenire con l’uso continuo di dilatatori anali, con iniezioni sottocutanee di idrocortisone, eseguite una volta al mese in dosi di 1 ml per volta. Dosi maggiori vanno evitate per il rischio di necrosi cutanee.
Trattamenti ambulatoriali
Con i trattamenti ambulatoriali è possibile creare una fibrosi nello spazio sottomucoso tra i gavoccioli emorroidari, che possa obliterare i vasi sanguigni e riportare, con la retrazione cicatriziale, i pacchetti emorroidari nella sede primitiva. Le metodiche principali sono quattro, che ottengono tutte lo stesso risultato. I trattamenti ambulatoriali sono indicati per la malattia emorroidaria di I° e II° grado, soprattutto se sanguinanti.
Scleroterapia
Consiste nell’iniezione di un liquido sclerosante nella sottomucosa, intorno al peduncolo vascolare del gavocciolo emorroidario, a livello dell’anello ano-rettale. La fibrosi intorno ai vasi sanguigni, successiva all’iniezione, porta ad una riduzione di flusso di sangue all’emorroide e la fissa alla mucosa, riducendo così il prolasso.
La sclerosi si effettua con una siringa da 10 ml e un ago da 18 Gauge; occorre un anoscopio e una fonte luminosa.
La sostanza utilizzata è il polidocanolo al 3%. L’iniezione deve essere effettuata sottomucosa, direttamente nell’emorroide o nelle sue adiacenze (craniale ad essa), all’interno del tessuto circostante i vasi sanguigni. Deve essere posta particolare attenzione alla regione del muscolo dello sfintere anale, per il rischio di danni e di conseguenti problemi di incontinenza. Quando si tratta una emorroide in corrispondenza delle ore 11 in un uomo (in riferimento alla posizione ginecologica), la quantità iniettata non deve superare 0,5 ml a causa della prossimità dell’uretra e della prostata. A seconda del grado della patologia emorroidale, potrebbero essere necessari diversi trattamenti ad intervalli di 1-2 settimane. Inoltre, durante ogni sessione di trattamento, non deve essere superato un totale di 3 ml di Atossiscleorol 3%, che va somministrato con iniezione sottomucosa per un massimo di 1 ml per ogni emorroide. Altra sostanza utilizzata è il fenolo (5%) in olio di arachidi, mentre il chinino (20%) è poco usato per via dei suoi gravi effetti collaterali.
La complicanza immediata del trattamento iniettivo sclerosante è il sanguinamento a getto attraverso l’orifizio di penetrazione dell’ago. Una pressione digitale per qualche minuto generalmente risolve il problema.
Nell’ora successiva all’iniezione può comparire il dolore, che si risolve con l’uso di antidolorifici minori.
Nei giorni successivi all’iniezione possono crearsi raramente placche di tessuto alterato, con dolore alla pressione e sanguinamento. Dopo due o tre settimane la cicatrizzazione è completa e nel frattempo bisogna evitare ogni trattamento sclerosante.
Sclerosi dei gavoccioli emorroidari
Legatura elastica
Si applica un laccio elastico alla base dell’emorroide, con il quale si riduce il flusso sanguigno, obliterando i vasi nutritivi e successiva caduta di buona parte della massa emorroidaria. Si produce una fibrosi, nel punto della legatura, fissando così la base del gavocciolo alla mucosa circostante e impedendone il prolasso.
Lo strumento per la legatura è costituito da due cilindri concentrici che si muovono uno interno all’altro, montati su due assi, che determinano il movimento di scorrimento. L’operatore muove il cilindro esterno in avanti su quello interno e poi il laccio di gomma, montato sul cilindro interno, viene fatto scorrere fuori dalla punta dello strumento, andando a chiudersi alla base del gavocciolo emorroidario, che viene pinzato e catturato dentro il cilindro interno. La legatura deve essere almeno a 5 mm al di sopra della linea pettinea, dove la sensibilità dolorifica è assente.
Il tessuto strangolato diventa necrotico e cade entro pochi giorni e la ferita si cicatrizza per fibrosi. In una seduta si possono trattare due emorroidi e si eseguono tre o quattro sedute, distanziate di un mese l’una dall’altra, così che l’escara abbia il tempo di cicatrizzare prima di una nuova seduta. Il Paziente deve evacuare prima di ogni seduta e poi il giorno seguente, mai nelle ore immediatamente successive, in modo da evitare un prolasso irriducibile. Vanno prescritti blandi lassativi per rendere morbide le feci.
Legatura elastica dei gavoccioli emorroidari
Le possibili complicanze di questo trattamento sono il dolore e il sanguinamento. Il dolore, in forma più o meno intensa, compare nel 25-50% dei pazienti. Nel 10% dei casi, il dolore è intenso e può costringere il Paziente a letto. Se questo compare a distanza di qualche giorno, può essere dovuto allo sviluppo di una varice esterna trombizzata. L’emorragia secondaria si verifica nel 2-5% dei casi e può essere grave da richiedere il ricovero in ospedale.
Crioterapia
Consiste nell’utilizzo del freddo per ottenere il congelamento dei liquidi intra ed extracellulari, con conseguente trombosi vascolare e necrosi del tessuto emorroidario. Il congelamento si ottiene con una sonda raffreddata con protossido d’azoto (punto di ebollizione -70°C) e con azoto liquido (punto di ebollizione -180°C). La sonda è collegata ad un cilindro che contiene il liquido ed il flusso verso la punta viene regolato accendendo e spegnendo un interruttore. L’azione congelante del criostato è evidenziata dalla formazione di una palla di ghiaccio sul tessuto emorroidario, per cui si può interrompere il flusso del gas liquido generalmente dopo 30-90 secondi. Dopo uno o due giorni, la parte gonfia è simile ad una emorroide trombizzata e dopo circa una settimana cade.
Questo trattamento è ora in disuso, perchè non è sempre possibile valutare l’estensione del tessuto necrotizzato e il dolore successivo alla metodica è spesso intenso e maggiore rispetto ad altri trattamenti ambulatoriali.
I Chirurghi che ancora utilizzano questa metodica la fanno precedere da una legatura del peduncolo, prima della crioterapia. Così viene limitata l’estensione in profondità della crionecrosi. Successivamente l’elastico può essere rimosso o lasciato in sede per maggiore precauzione.
L’indicazione a questa metodica è per le emorroidi di I°, II° e III° grado in associazione alla legatura elastica e può essere utilizzata anche per il prolasso mucoso, per la trombosi emorroidaria, per le marische, per le emorroidi marginali, per la tromboflebite marginale.
Le complicanze che possono comparire sono il cattivo odore, il prurito, la febbre, l’infezione, sanguinamenti, ascessi anali e ritenzione urinaria.
Tardivamente si può assistere a depigmentazione della cute perianale, alla comparsa di un’ulcera cronica, a stenosi e dolore anale persistente.
Per questi motivi la metodica è caduta in disuso e attualmente deve essere considerata complementare ad altre procedure.
Fotocoagulazione ad infrarossi
Mediante una sorgente di raggi infrarossi viene prodotta una termocoagulazione nel peduncolo vascolare dell’emorroide. Ne consegue una distruzione del tessuto, fino ad una profondità di 3 mm, con danno diretto ai vasi nutritizi, e la successiva cicatrizzazione fissa la mucosa al peduncolo emorroidario.
L’apparecchio è un erogatore di corrente collegato ad una pistola. Una lampada alogena al tungsteno (14 Watt), posta sulla punta della pistola, è ricoperta di una sostanza polimerica, così da non attaccarsi alla mucosa e per poter essere ritirata senza creare lacerazioni, viene attivata con un interruttore e l’irradiazione di infrarossi prodotta viene concentrata lungo un canale a fibre di quarzo sulla punta della pistola. È possibile regolare la durata dell’esposizione che va da 0,5 a 2 secondi. Ciascun pacchetto emorroidario richiede 2 – 3 applicazioni, con sedute intervallate di 10 giorni. Se vengono eseguite nella stessa seduta più applicazioni, la distanza tra loro deve essere di almeno 1 cm.
Le complicanze sono rare e di scarsa entità: un lieve sanguinamento, che compare nel 10-20 % dei casi, è dovuto alla caduta dell’escara (placca di tessuto alterato) dopo alcuni giorni; vere e proprie emorragie sono molto rare. Il dolore è presente nel 5% dei pazienti trattati.
L’indicazione di questo trattamento è l’emorragia emorroidaria. È metodica di prima scelta in certe proctiti emorragiche, specificamente dopo radioterapia.
Dilatazione anale pneumatica endoscopica, sfinterotomia anale interna e sottomucosa e divulsione anale
Si tratta di tre metodi di terapia particolarmente indicati per la ragade anale e che trovano indicazione nella terapia delle emorroidi in base al concetto fisiopatologico che l’eccessivo tono sfinteriale del canale anale sia responsabile della stasi venosa e della patologia emorroidaria.
La divulsione anale consiste nell’introduzione lenta ma progressiva e decisa di otto dita nell’ano. Questa viene eseguita in anestesia e sarebbe in grado di creare delle lacerazioni delle fibre che compongono i fasci anulari che, secondo la teoria delle bande fibrose, sarebbero i responsabili della patologia emorroidaria interna. Dopo la divulsione all’interno dell’ano viene lasciato un grosso tampone che è rimosso dopo un’ora. Il Paziente viene dimesso con l’indicazione all’assunzione di lassativi di massa e l’uso di un dilatatore anale.
Le complicanze sono la formazione di lividi e a volte l’incontinenza fecale di vario grado ma in genere transitorio se la divulsione è stata eseguita correttamente. Possono osservarsi anche lacerazioni della cute anale e perianale che si riparano però facilmente.
La sfinterotomia anale interna e sottomucosa consiste nella sezione di un certo numero di fibre del muscolo sfintere anale interno, eseguita a cielo aperto, dopo parziale rimozione di un lembo di mucosa che lo ricopre, o a cielo coperto (sottomucosa) con l’utilizzo di forbici millimetrate. Le possibili complicanze sono l’ascesso anale e l’incontinenza di vario grado. Nel caso della sfinterotomia anale sottomucosa non è possibile valutare con precisione la quantità di muscolo sezionato e pertanto è maggiore il rischio di provocare incontinenza. I risultati inoltre non sono entusiasmanti.
Sfinterotomia anale laterale chiusa
Molto più in uso e più sicura, utilizzata soprattutto per la terapia delle ragadi anali, è la dilatazione pneumatica endoscopica, durante una colonscopia, che si effettua allo scopo di escludere altre lesioni del colon, eventuale causa o concausa delle rettorragie. Si applica un palloncino pneumatico nell’orifizio anale, ad aria o ad acqua, e si gonfia con il Paziente in anestesia. La terminologia esatta è “dilatazione pneumatica calibrata dello sfintere anale” e viene eseguite in narcosi con propofol e l’utilizzo di un anestetico locale (naropina, bupivacaina). Il risultato è eccellente per la terapia della ragade anale, mentre, per la patologia emorroidaria, il miglioramento è legato alla risoluzione dell’ipertono sfinteriale, ritenuto responsabile del mancato ritorno venoso, con stasi ed edema dei gavoccioli emorroidari.
Dilatazione pneumatica anale con palloncino da 30 mm
Per ottenere la riduzione dell’ipertono dello sfintere anale, si possono utilizzare anche i dilatatori anali rigidi, di vario calibro, che devono essere introdotti quotidianamente all’interno dell’ano, in successione di grandezza, per ottenere un progressivo rilasciamento sfinteriale.